Legge di stabilità: ecco LO SPLIT PAYMENT

La legge di Stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014)prevede tra le diverse misure di contrasto all’evasione fiscale l’applicazione del meccanismo c.d. dello split payment.
A seguito di tale novità, in vigore già dall’inizio dell’anno, i fornitori di beni e servizi nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato, degli enti pubblici territoriali, delle camere di commercio, degli istituti universitari e di altri soggetti (nella maggior parte dei casi acquirenti e committenti di cui all’art. 6, comma 5, D.P.R. n. 633/1972) non incasseranno l’IVA addebitata in via di rivalsa.
È stato introdotto nel corpo del decreto IVA il nuovo art. 17-ter in base al quale l’IVA addebitata ai sensi dell’art. 18, D.P.R. n. 633/1972 è in ogni caso versata dagli acquirenti/committenti “secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”.
Il nuovo meccanismo non incide sulle modalità di fatturazione (che restano quelle ordinarie), ma sarà in grado di determinare più facilmente la formazione di posizione di credito nei confronti dei cedente/prestatori.
Ad esempio
Si consideri il caso in cui un’impresa abbia acquistato una partita di merce pagando la fornitura 10.000 euro di imponibile e 1.000 euro di IVA, per un importo complessivo di 11.000 euro. La medesima impresa vende la merce ad un Comune. In questo caso l’imponibile ammonta a 30.000 euro e l’IVA risulta pari a 3.000 euro.
Nell’effettuare il pagamento il Comune sarà tenuto a corrispondere all’impresa fornitrice della merce l’importo di 30.000 euro trattenendo a sé l’IVA di 3.000 che dovrà essere successivamente versata dallo stesso Comune nelle casse dell’erario secondo modalità che saranno definite più avanti con apposito decreto.
Invece l’impresa cedente non dovrà effettuare alcun versamento per ciò che riguarda l’IVA addebitata al Comune e risultante dalla fattura emessa. Tuttavia, la stessa impresa potrà esercitare il diritto alla detrazione per ciò che riguarda l’imposta sul valore aggiunto a sua volta addebitatagli all’atto dell’acquisto della merce successivamente oggetto di rivendita.
Ipotizzando in astratto che la maggior parte delle operazioni (cessioni di beni e prestazioni di servizi) sia effettuata nei confronti di questi soggetti (indicati dal nuovo art. 17-ter del decreto IVA) è evidente come il meccanismo descritto renderà praticamente inevitabile la formazione di posizione di crediti IVA in capo al soggetto cedente/prestatore.
La nuova disposizione concorrerà ulteriormente alla diminuzione di “liquidità” delle impresa la cui clientela è costituita prevalentemente da enti pubblici. Infatti, non solo si dovrà fare fronte al cronico ritardo dei pagamenti, ma all’atto dell’incasso l’IVA resterà nelle casse del debitore/acquirente che provvederà successivamente a versarla nelle casse dell’erario.
Al fine di rendere più agevole il rimborso dell’IVA a credito dovuta all’applicazione del meccanismo dello split payment il legislatore è intervenuto modificando anche l’art. 30 del decreto IVA, la cui rubrica è “Versamento di conguaglio e rimborso dell’eccedenza”.
L’art. 30, comma 2, lettera a) prevede che il contribuente può chiedere il rimborso dell’IVA a credito quando esercita esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell’imposta relative agli acquisti, computando a tal fine anche le operazioni che hanno determinato l’applicazione del reverse charge a norma dell’art. 17.
Ora, per effetto dell’ultima modifica, nel computo delle operazioni devono essere considerate anche quella che hanno dato luogo all’applicazione del meccanismo dello split payment.
Il D.L. n. 250/1995 ha disposto che la fattispecie prevista dalla citata disposizione ricorre qualora il contribuente abbia effettuato acquisti (di beni e servizi) ed importazioni con applicazione di un’aliquota media superiore a quella mediamente applicata alle operazioni attive, ulteriormente maggiorata del 10%.
Ad esempio
Tornando all’esempio precedente, l’impresa fornitrice del Comune ha addebitato l’IVA nella misura di 3.000 euro (aliquota 10%) ed ha assolto l’IVA sull’acquisto della medesima partita di merce per un importo pari a 1.000 euro (aliquota 10%). La liquidazione chiude con un credito IVA di pari importo in quanto il tributo pari a 3.000 è versato direttamente nelle casse dell’erario dallo stesso Comune.
L’aliquota IVA (delle operazioni attive e passive) è la medesima quindi sembrerebbero non sussistere le condizioni previste dall’art. 30, comma 2, lettera a), D.P.R. n. 633/1972 per chiedere il rimborso, ma la soluzione non è corretta.
La circostanza che il legislatore, modificando l’art. 30, abbia indicato espressamente la necessità di considerare anche le operazioni che hanno determinato l’applicazione del nuovo meccanismo, vuol significare che tali operazioni assumono rilievo ai fini del computo della media come se fosse stata applicata l’IVA con l’aliquota zero.
In buona sostanza, sia pure attraverso una finzione, è come se nell’esempio l’aliquota IVA sulle operazioni attive poste in essere (per semplicità una sola operazione) sia pari a zero e quella sugli acquisti sia pari al 10%. Risulta così verificata la condizione che rende possibile per il contribuente la richiesta di rimborso dell’IVA se superiore all’importo di 2.582,28 euro.